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Detto questo seppur l’arte si è ricavata ormai una bella fetta di mercato che non riguarda più solo artisti, collezionisti e addetti elitari, c’è ancora uno errato pensare che occuparsi di questo settore non sia veramente un lavoro o che non dia alla società qualcosa di fondamentale. Io quindi, al di fuori della crisi del momento, concentrerei l’attenzione sull’imparare ad apprezzare più questo settore fin dai piani più “bassi” perché non solo è una fonte economica ma è anche un forte veicolo di comunione e comunicazione.

testo di ROSSANA CALBI

 

Il colore si stratifica sulla carta, si libera delle forme standardizzate e le immagini vincono sulla materia della quale si devono nutrire per la loro rappresentazione. On the Wild Side è il ritorno espositivo dell’artista romana Stella Tasca nella sua città, Roma, dopo la collaborazione con la galleria Amaneï di Salina dello scorso anno e pronta ad altri progetti per l’estate imminente, Stella Tasca presenta i suoi animali, tigre e balena invase da colori pop in un allestimento che riempie ogni spazio della galleria capitolina Parione9 fino al 30 giugno 2018.
On the Wild Side è un progetto espositivo in cui l’opera d’arte non ha più solo la funzione di portarti al bello, ma diventa oggetto di design in cui la funzione si accompagna all’estetica e al significato. Stella Tasca ritorna a coniugare la praticità con la forma, un concetto che ritroviamo in tutto il suo percorso artistico.

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testo di BARBARA MARTUSCIELLO

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Tra le nuove tendenze dell'arte contemporanea italiana più attuale emerge e si evidenzia, oggi più che mai, una smaccata propensione alla contaminazione. Quello che più precisamente interessa alle più giovani generazioni di artisti è -e dovrebbe sempre essere- la miscellanea tra linguaggi appartenenti ad ambiti artistici diversi che mai come in quest'epoca si rapportano e si amalgamano tra loro tanto perfettamente. Protagonista di questa nuova realtà è inevitabilmente l'immagine che già normalmente, nella quotidianità, si moltiplica stratificandosi ogni giorno davanti ai nostri occhi, provenendo dalla Tv, dal cinema, dai rotocalchi, , dalla pubblicità in ogni sua manifestazione, dai graffiti, dalla cartellonistica stradale, dalla Rete... Già in passato, va ricordato, l'immagine era stata coinvolta in una serie di  processi combinatori e "totalizzanti":  pensiamo al Futurismo, a Duchamp, alla sperimentazione Bauhaus, ad Andy Warhol, all'Op Art, alla produzione underground...; è però in questi ultimi 10/15 anni che si è prodotto nell'arte e nella cultura un ulteriore passaggio verso un maggior grado di fusione linguistica. Ciò è avvenuto grazie all'avvento del computer con tutto il suo mondo digitale, Internet in testa, ormai abituale contenitore e veicolo allo stesso tempo di infiniti cocktail di riferimenti prima di tutto culturali e visivi. 

Stella Tasca ha colto con sorprendente velocità e con una buona dose di freschezza questa modalità combinatoria che ho qui analizzato, producendo opere con un carattere e una dominante tecnica decisamente pittorica e ad alto tasso cromatico. Le sue composizioni sono pienissime di elementi: figurazioni centrali protagoniste dello spazio, scritte, gocciolature di colore, stelle e altre icone, giornali, sembrano volersi porre come emersioni di ricordi visivi -e vissuti- che l'artista seleziona dal contesto magmatico degli accadimenti trattandoli come materia pulsante della memoria che è resa protagonista scintillante. In tutti i sensi, visto che Stella usa perline e glitter mischiate alla più consueta materia pittorica, prevalentemente spray e acrilica.

I riferimenti dei quadri così realizzati vanno dalla fotografia alla cultura visiva underground che dalla Psichedelia arriva sino al Graffitismo; all'universo Pop che dalla comunicazione pubblicitaria allarga il suo vasto campo d'azione ai media; a un certo tipo di grafica e di illustrazione anni '60 e '70; al linguaggio, tra poesia visiva e lettering che dalle avanguardie storiche giunge, con cadute e risalite, al Writing metropolitano. Tutti questi legami artistici risultano avvolti da un'atmosfera tecnologica che rimanda all'era di Internet e alle potenzialità della Rete di cui abbiamo accennato prima. L'interessantissimo mix così organizzato è radice e linfa del suo lavoro che sembra mirato a un'immediata e coinvolgente comunicazione visiva, esplosione retinica che segnala nettamente, proprio attraverso la sua variegata composizione, tutte le sue declinazioni; quasi a fare delle sue opere una dichiarazione di appartenenza (contro?)culturale e ideologica. Una sorta di manifesto visivo programmatico dinamico, originale, a tratti disarmante, assolutamente contemporaneo e in fase di ulteriore evoluzione.

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"Cronache e storia dell’epoca globalizzante: la speaking art di Stella Tasca". testo di MASSIMO GUASTELLA

 

Stella Tasca, venticinquenne artista romana, è al secondo anno di piena operatività estetica. La sua formazione, dal liceo artistico all’Accademia di Belle Arti, e i suoi contesti di riferimento gravitano attorno alla capitale, dove nell’anno in corso ha esposto in svariate occasioni e luoghi, soprattutto in circuiti non consacrati all’arte ma forse altrettanto o addirittura -odiernamente- più dinamici e attuali culturalmente e socialmente, come negozi, art cafè e così via.

Fatta questa precisazione sul sorgivo iter artistico della Tasca -che data la sua giovane età va considerata un’artista in fieri-, dico subito che le tematiche affrontate nelle sue opere si pongono in una condizione creativa definibile post quem. Sceglie, cioè, come punti di partenza due date del 2001, relative ad altrettanti avvenimenti, che superata la cronaca si dispongono nella fase storica: per l’Italia, i fatti di Genova; per il mondo, gli attentati dell’11 settembre a New York. Stella Tasca mette in gioco la sua fresca coscienza e anziché immolarla ad un’incontaminata sfera estetica la relaziona con quegli accadimenti tragici, che hanno costituito una vera e propria svolta per le vicende, correnti e prossime, dell’umanità. Gli scontri di Genova e l’attentato alle Twin Towers segnano incontrovertibili tappe della storia del paese e mondiale. Per propria parte graveranno sulle scelte individuali e sulla common-life, sul piano nazionale, gli uni, e su quello intercontinentale, l’altro. Com’è sotto gli occhi di tutti! E tutti tengono lezioni di interpretazione sulle fasi critiche di questa nostra epoca, spesso revisionando il proprio punto di vista, come ci spiegano intellettuali, politici, economisti, filosofi, sociologi, psicanalisti e quant’altri. Eppure, tra tutti, singolari restano gli artisti, spie sensibili e più attendibili, a mediare il proprio tempo.

La Tasca avverte che l’artista è contemporaneo solo a partire dall’assunzione di responsabilità. Lei non intende chiamarsi fuori del contesto epocale in cui vive e perciò sente di dover utilizzare il gesto artistico quale azione di denuncia, sociale e politica, avversa all’imposizione della globalizzazione, che rifiuta la new economy e via dicendo. Sfida e riflessione insieme inquadrate tra colori vivaci, parole genuine, immagini semplici d’un repertorio di personaggi singolarmente ritratti.

Parte da queste premesse, metaforicamente impiantandovi le basi delle sue ricerche, nel senso che sui soliti supporti lignei -di dimensione variabili ma di superficie non troppo estesa- distende fogli di testate quotidiane, per riconnettere, in un continuo rimando, la realtà all’artificio, l’essenza all’apparenza, la poetica alle forme, affinché tali caratteri non risultino dicotomici ovvero troppo distanti tra loro. L’artista romana tende, piuttosto, al recupero del consolidato binomio arte e vita, al ripristino del troppo affrettatamente ripudiato “ruolo sociale dell’arte”. Lo si coglie soprattutto nelle pagine pubblicate dai quotidiani, da lei alternate a fanzine antimperialiste, stampati di contenuto anarchico, animalista, sovversivo, volantini pubblicitari di concerti punk, che servono a fissare insieme idee e memoria, quale monito costante, pur nella loro presunta oggettività informativa dei materiali editati. La percezione di ciò che è artistico non deve sottrarsi all’ineluttabilità degli eventi, grandi e piccoli, importanti e insignificanti. Il macro rapportato al micro della quotidianità dei singoli esseri umani è affatto il messaggio che Stella Tasca ci partecipa attraverso i suoi dipinti, veri e propri antidoti all’annullamento ideologico, alle costruzioni di personalità artificiali.

Innanzitutto si prefigge di far giungere attraverso le sue opere un’immediatezza comunicativa, rafforzata dal costante inserto verbale. Perfettamente consapevole che la sua arte non deve arretrare rispetto alla realtà o isolarsi dal riguardante ma relazionarsi ai più dichiara: «Ed ecco l’uso delle parole sopra ad altre più piccole; una frase più grande più importante, una citazione che a pensarci bene è proprio quella giusta ma che magari una volta non ha funzionato...e allora io ci riprovo ancora una volta...ce la metto io ora qui cambio posto e il momento...magari ora funziona: perché sotto e dietro una situazione importante, di rilievo, uno scorcio di vita così imponente e reale ci sono mille e mille piccolissimi e infiniti momenti, come un giornale e i suoi titoli».

La scelta del linguaggio figurativo segue alla prima comunicazione stampata e alla citazione personale. I segni verbali e figurali si sovrappongono, s’incrociano, senza caoticità ma con una rigorosa impaginazione, per consentire all’opera la piena espressone di sensazioni, emozioni, piaceri, sofferenze; in buona sostanza fa dell’oggetto artistico un momento di divulgazione e di relazione con gli altri. A seguire predispone immagini fotografiche -cogliendo acutamente il potere di questo medium di riproduzione della realtà- per lo più di personaggi noti, del mondo dell’arte, della storia, della cultura, della musica oppure anonimi, «conosciuti o importanti solo per l’autrice», che lo dichiara. Le studia, le preleva da vecchi giornali e manifesti; le rielabora al computer, le rende sagome “contrastate”. Distende a pennello i colori -tempere o vinilici o acrilici-, poi ricorre agli spray, con cifre da graffitista. Tuttavia l’opera non si risolve in un’ovvia affiche, com’è desumibile dalla strutturata e ricercata articolazione d’ogni suo singolo lavoro. Interviene ancora sulla superficie sovrapponendovi materiali disparati: pagliuzze di milar, fogli argentati e opachi, glitter, perline. Una decorazione finale densa di componenti vili, miseri che sembrano, però, fermentare sullo spazio piano. I personaggi accompagnati dalle parole, d’una semplicazione didascalica che valgono i titoli delle opere (Bizzarre, Libertade conquistada e Libertade imposta o ancora il lungo Viva, viva, viva life and lamb, viva, viva, viva), comportano, alla fin fine, schiette comunicazioni di immagini e parole; credo che in tal senso si possa interpretare la scelta di Stella Tasca di denominare la sua ricerca speaking art.

È palese che la giovane artista romana sia da collocare nella schiera di nuove leve della figurazione, che si rifanno alla rinata linea espressiva popartistica o Neopop, per dirla meglio; pure combinata con formule comunicative di sapore concettuale, che caratterizza buona parte della cultura artistica recente. Ma lei, nei personaggi ritratti, rifugge formule fragili, appiattite, sdolcinate, reiterate tanto comode alle omologazioni del mercato. Stella Tasca è una personalità in ascesa, che saprà ancor meglio esprimere in seguito il suo potenziale creativo, sebbene, a guardare i già interessanti esiti della sua primaria produzione di icone della contemporaneità, si ricavano testimonianze di quell’atteggiamento giovanile, di inizio Terzo Millennio, serio, responsabile e ottimista: direi una sorta di controcultura artistica di qualità, dai valori più duraturi, di cui il sistema dell’arte necessita, per non annientarsi nell’effimero, e di cui a tempo debito si sentirà molto parlare.

 

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"Mettiti in gioco"   testo di    CATERINA NOBILONI  PARATORE

 “… ciascuno di noi si crede uno, ma non è vero: è tanti, secondo tutte le possibilità dell’essere.” L. Pirandello, “Sei personaggi in cerca d’autore”

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Infinite sono le sfaccettature di una personalità, imprigionate, secondo lo scrittore siciliano, dietro la Maschera, strumento di tortura e di finzione, che trasforma la vita in un tragico palco, dal quale si recita secondo un copione sbagliato. All’opposto, vi è qualcosa nel gioco, qualunque esso sia, che risponde all’essenza intima dell’uomo, è qualcosa che dialoga con l’imprevedibile mutevolezza racchiusa in ognuno di noi, esaltandone tutte le sfumature: si tratta della variabilità. Ed è esattamente nel variabile che questa mostra trova, allo stesso tempo, il proprio significato ed il meccanismo che la muove.

E’ come una grande partita ancora aperta, con “le carte in tavola” è davvero il caso di dire, in cui tutto è possibile: basta compiere una scelta, fare una mossa o imboccare una qualsiasi strada per mutare il corso del gioco.

Non esiste alcuna regola, ma neanche la possibilità di barare, perché nessun ruolo è stabilito a priori, né quello del banco, ossia la vita, che salda i propri debiti a suo piacimento né, tantomeno, quello del giocatore, l’uomo comune, che bluffa, punta, spera, si dispera e, soprattutto, gioca.

Tutto è a tal punto imprevedibile e rigirato che le carte si animano e assumono il volto di amici a conoscenti dell’artista, sono i nuovi re e le nuove regine, fanti metropolitani che abitano la vita reale e decidono se e quando entrare in gioco, decidono chi scartare e chi tenere, padroni di se stessi e della propria vita come di una gloriosa scala reale. Queste carte non sono più, quindi, un mero oggetto, ma compiono il salto che separa il passivo dall’attivo divenendo, in tal modo, un “soggetto”; differenza non da poco, se si considera che il loro ruolo è, tradizionalmente, quello di subire le decisioni altrui e non di prenderne di propria iniziativa.

Mettersi in gioco, dunque, significa agire d’azzardo, scendere nella mischia in prima persona e accettare le incognite, le variabili appunto, che ogni partita ci pone davanti perché, senza variabili, non c’è strategia, non esiste sorpresa, non c’è conquista.

Come una nuova Alice nel paese delle meraviglie, lo spettatore attraversa un diaframma, uno specchio dietro il quale la realtà è rovesciata, tutto è verosimile ma, nel contempo, spaesante. Il nero e il rosso, codice binario del tradizionale mazzo da gioco, sono ora diventati un sitema complesso, un turbine di cromie. Non vi è colore o materiale al quale Stella Tasca non ricorra per esprimersi: pigmenti, glitter, pittura acrilica o perline… la lista potrebbe continuare all’infinito, cavalcando un arcobaleno che va dal vivido oro alla pittura trasparente, passando per tutte le nouances possibili.

Variabilità, ancora una volta, come antidoto a tutto ciò che è monotono, prevedibile o stereotipato. Potenzialmente, ogni cosa concorre ad accrescere le possibilità creative dell’artista e tutti gli elementi esterni sono acquisiti senza pregiudizi o preconcetti di sorta, purché suscettibili di rendere ogni suo lavoro un unicum, parte di una peculiare ripetizione differente.

Ogni carta assomiglia alla precedente ma, allo stesso tempo, se ne discosta in modo radicale. E’ una differenza, in primo luogo, concettuale, poiché ognuna possiede una personalità a sé stante, lontana mille miglia dall’omologazione re-regina-fante, ed è una personalità di cui si avverte doppiamente la presenza, dato che non si limita ad una qualsiasi immagine dipinta ma rimanda al volto di una persona reale, con tutta la densità di vita che un ritratto comporta. Potrebbe addirittura capitare, all’ignaro spettatore, di trovarsi preso nell’incrocio di sguardi tra la carta e il suo protagonista.

In secondo luogo, ci troviamo di fronte ad una differenza “di valore”; se di un gioco si tratta, si avrà in ogni momento un possibile vincitore e un possibile perdente, si avranno carte “alte” e carte “basse”, ci sarà il desiderio continuo di scartarne alcune mentre si desidera possederne delle altre, ma il valore della carta, in questo caso, è regolato da un criterio altro rispetto a quello del numero o del seme. Le carte – le persone – valgono secondo la scala soggettiva dell’artista, valgono secondo la scala soggettiva che ognuno di noi attribuisce a se stesso e al modo che lo circonda. Mettersi in gioco vuol dire, allora, puntare sulla carta vincente, puntare su se stessi, ponendosi la corona in testa, montando il cavallo della vittoria, seriamente o per scherzo, purché senza paura di giocare.

Sul panno verde stanno le fiches, colonnine accattivanti, fintamente preziose, che sfavillano di lustrini e colori sgargianti, ma saranno realmente la ricompensa? E’ davvero lì che ognuno di noi vuole arrivare? O non si gioca, forse, unicamente, per misurarsi con se stessi, con i propri limiti e le proprie aspettative?

L’artista non risponde e non decide per noi ma, in ogni caso, non ci preclude alcuna via, la partita può terminare in ogni istante – c’è una scatola pronta in cui riporre le carte – e ognuno è libero di togliersi la corona o di tenerla a piacimento, la posta è di tutti e di nessuno e l’esito, variabile, lo si conoscerà nel corso degli eventi, non saltando il proprio turno ma, sempre e comunque, mettendosi in gioco.

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testo di MELANIA ROSSI

Storie  particolari a rappresentare elementi costituenti di un generale modo di vedere e sentire. Fatti privati e ricordi non sono qualcosa di tipico nell’arte, ma diventano veicoli di una eticità pubblica, pura perché condivisa. Per uscire da una visione unilaterale del presente, negativa e solitaria, l’artista è  andata a toccare il confine tra se stessa e tutto il resto. E, in bilico su quel confine, si è fermata a guardare.

Tra gioco e mondo vero, tra sogno e realtà, tra passato e presente, il viaggio è quello di tutto il tempo intero. E se invece di cercare di superare quelle distanze si provasse a rappresentarle, ad inspessirne i contorni fino a renderle immagini? Fermarsi tra il “non più e non ancora” e farlo diventare un luogo concreto, osservare e bloccare quel momento proprio quando passa nella mente andando inevitabilmente verso un’utopica –perché per definizione quasi mai realizzabile-  soluzione. Ecco la linea di confine tra la fantasiosa follia e la verità nuda e cruda, tra l’essere adulti o bambini, tra partire o restare, tra adeguarsi e combattere. Che poi, spesso, avere il coraggio di andare controcorrente diventa andare contro per adeguarsi ad uno status. E allora, in tutta questa incertezza, si può provare a giocare un po’ con quello che siamo e quello che eravamo, con quello che abbiamo e che vorremmo, con tutti i moduli che ci compongono, in uno scombinato ed ironico atto di libertà estetica e concettuale.

 

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“ IN -SEGUO”  testo di  TIZIANA MUSI                  

 

"Affinche’ i ricordi non sopravvivano soltanto sospesi nella memoria ma da scivolosi diventino ripercorribili...”

 Sono le stesse parole dell’artista  a suggerirci una lettura pertinente delle sue opere.

Narratrice di frammenti di un vissuto ancorato all’infanzia leggero e divertito, Stella Tasca sembra giocare con la pittura.

Arte e gioco diventano cifre di una ricerca individuale che affonda le sue radici in un mondo perduto sia esso l’infanzia  o piu’ in generale un passato colletivo anche non direttamente collegato all’esperienza dell’artista:una sorta di rimpianto esistenziale,con il quale l’artista entra in gioco, per recuperarlo almeno in parzialmente.

In-seguire ,correre dietro senza regole ai ricordi per fermarli anche solo per frammenti, precipitare incontro alle emozioni piu’ intime ,trascinandosi dietro tutto il proprio carico di sensazioni: questo costituisce il nucleo centrale del lavoro di Stella.

Anche nella modalita’ espressive sembra di scorgere nostalgie verso  un fare pittura ancorato ad esperienze precedenti: le sagome pittoriche , i collages,volantini di concerti punk,le scitte,colori acrilici spray,non possono non far pensare a certe esperienze pop degli anni ‘60.

Ma Stella  si appropria di queste icone con stupefacente allegria,con un candore quasi imbarazzante ,rimescola le carte del suo mondo poetico , scompone,ricostruisce, aggiunge:le perline, i glitter,le pagliuzze di mylar ,la densita’ cromatica trasformano la pittura in un gigantesco puzzle con cui l’artista si diverte a giocare , ma  con cui soprattutto sembra aprirsi con ottimismo al futuro.

 

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testo di TOMMASO CASCELLA

 

Stella Tasca lascia vivere le balene e le propone solo in effige come morbidi trofei/materassi. Giona e Pinocchio ci abitavano, noi ci culleremo sdraiati sulla loro immagine dipinta da Stella, ritrovando nel nostro sonno e sogno quello del grande cetaceo mammifero come noi. La balena di Stella, nel suo morbido abbraccio, diventa una grande madre primordiale.

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testo di LINDA OCONE

 

Stella Tasca, poliedrica artista romana classe 1977, trattiene il respiro come da bambina e gioca ad immergersi nell’apnea come la balena di Moby Dick, che nell’installazione diventa Belly Blu. Nel suo arazzo di ispirazione marina, indaga la distanza e il legame tra i punti di vista delle due più lunghe e determinanti fasi della vita; la serietà del bambino che si concentra nel gioco e conserva preziosi, piccoli oggetti rubati al mondo, contro e insieme alla consapevolezza dell’adulto, che vede il Capitano Achab qual è; non un eroico avventuriero, ma un misero monomaniaco «roso di dentro e arso di fuori dagli artigli fissi e inesorabili di un'idea incurabile».

                                                                 

 

 

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